Sabato 29
settembre si è tenuta a Berna una manifestazione di solidarietà con la
rivoluzione siriana. Pubblichiamo il testo del volantino distribuito dall’MPS.
(Red)
1. La
rivolta popolare contro il potere dittatoriale del clan Assad in Siria si
inserisce nella scia delle sollevazioni popolari contro gli autocrati Ben Ali
in Tunisia e Mubarak in Egitto. Una data e un fatto lo ricordano, anche se sono
stati dimenticati. Il 31 gennaio 2011, sei giovani donne e uomini hanno
convocato su face book, una manifestazione
a Damasco in solidarietà con il popolo egiziano. I loro striscioni
chiedevano che l’esercito non sparasse sui manifestanti di Piazza Tahrir.
Lanciavano anche un grido: “Sì alla libertà”! Circa 100 persone si sono riunite
davanti all’ambasciata egiziana a Damasco. Una troupe televisiva russa ha filmato quella manifestazione. Qual è
stata la reazione di Bashar al-Assad? Arrestare, maltrattare, torturare gli
organizzatori e il più gran numero di manifestanti!
La
dittatura siriana aveva capito perfettamente che la contestazione del potere di
Mubarak poteva suscitare lo stesso slancio in Siria. Uno degli organizzatori di
quella manifestazione, dopo il suo arresto, è
potuto entrare in clandestinità e uscire dal paese. In un’intervista con
Sue Lloyd Roberts della BBC (17 agosto 2012), dichiarava: “I tunisini si erano
già liberati. Gli egiziani erano sulla via della liberazione. Noi pensavamo che
fosse anche il nostro turno di essere liberi”. Ricorda anche che i suoi amici
erano sunniti, cristiani e curdi, oppure drusi. Aggiunge che il regime ha
sempre stimolato i conflitti interconfessionali o etnici per meglio garantire
il proprio potere, per cooptare una base e creare artificialmente divisioni.
Cosa alla quale la guerra condotta dal
regime può, parzialmente, condurre.
Nel
febbraio del 2011, hanno avuto luogo tre manifestazioni pacifiche a Damasco. Un
giovane blogger è stato condannato a 5 anni di prigione accusato di “legami con
la CIA”! Ora, ancora il 6 febbraio 2011, il primo ministro turco Recep Tayyip
Erdogan salutava le eccellenti relazioni economiche e la collaborazione tra i
due regimi; cosa che avevano fatto i governi francese e inglese. Bashar
al-Assad non disturbava per nulla, tutto il contrario, le potenze imperialiste
e nemmeno Israele. Il clan Assad non era impegnato, dal 1991, nella coalizione
americano-saudita per condurre la loro guerra del petrolio in Iraq contro la
dittatura di Saddam Hussein? Il 26 marzo 2011, il segretario dell’ONU, Ban Ki-moon, chiedeva ad Assad
più “ritegno” nel “mantenimento dell’ordine”. L’ipocrisia istituzionale delle
“delegazioni di osservatori” della Lega araba, poi dell’ONU, mostra la volontà
delle potenze dominanti di trovare una soluzione di cambiamento nella
continuità. Come ha tentato di fare, il 22 settembre 2012, la riunione a
Damasco (autorizzata dal governo!) di un’opposizione che vorrebbe negoziare la
partenza di Assad combinata con il mantenimento dell’essenziale delle strutture
del regime, come avvenuto nello Yemen. Di che coltivare illusioni e lasciar fare
ad Assad.
2. Nel
marzo 2011, a Deraa, nel sud del paese, è apparsa la dinamica di un
sollevamento popolare. In
seguito a diverse manifestazioni, 55 persone venivano uccise il 18 marzo 2011 dalle “forze di
sicurezza”. L’esempio di un bambino torturato a morte è diventato il simbolo
dei metodi sistematici che userà – in modo crescente e ancor più terrificante –
questa tirannia. Essa non concepisce in altro modo la difesa dei propri privilegi e di quelli delle “élite”
economiche e politiche che nutre. Il 27 marzo 2011, 12 manifestanti sono stati
uccisi a Laodicea. È in un discorso del 30 marzo 2011 – dunque 18 mesi fa –, che Bashar al-Assad affermache
le molteplici manifestazioni, in un numero sempre maggiore di città, erano il
frutto “di una cospirazione straniera”. Un ritornello che è stato ripreso
continuamente da tutte le dittature – accecate dalla loro mania di
“onnipotenza” – costrette ad affrontano un sollevamento popolare.
Ora, a
Deraa come a Deir ez-Zor o ancora nella periferia di Damasco, la popolazione
subiva, da anni, una triplo sopraffazione: quella di una crisi sociale, di
un’ineguaglianza crescente, mescolata ad una vasta corruzione, e di un potere
poliziesco e repressivo onnipresente. “L’apertura economica” (infitah), messa
in atto sotto gli auspici della Banca mondiale e del FMI, è sfociata in una
concentrazione della ricchezza (terra, importazioni, finanze, turismo,
petrolio, ecc.) nelle mani del clan Assad – incrostato nello Stato e nel suo
apparato gigantesco repressivo – e in quelle di una fascia di “nuovi ricchi”.
Rami Makhlouf, cugino di Bashar al-Assad, e la sua famiglia simboleggiano la
concentrazione di questa ricchezza: il 5% delle “élite” si accaparra il 50% del
reddito nazionale.
L’impoverimento
delle fasce contadine è stato brutale. La loro partenza verso la periferia
delle grandi città spiega la rapida adesione della loro popolazione al
sollevamento. Circa il 65% della popolazione ha meno di trent’anni. Questa
fascia ha subito duramente i colpi delle trasformazioni socio-economiche: dalla
disoccupazione alle diverse forme di sottoimpiego o di brutale caduta in una
condizione di impoverimento implacabile. La paura, in queste condizioni, passa
in fretta.
Il
sollevamento popolare è dunque la risposta a questa situazione diventata
insopportabile e all’impulso di conquista dei diritti democratici che si sono
affermati e si affermano in tutta la regione, malgrado numerosi ostacoli. La
spaventosa brutalità della repressione – torturare negli ospedali, distruggere
interi quartieri uccidendo famiglie intere, bombardare persone che aspettano
davanti a un panificio - ha fatto venire crudamente alla luce la natura
profonda del regime. Più di 30'000
morti, più di 40'000 persone arrestate e torturate e decine di migliaia di
dispersi, 2 milioni di sfollati interni , 300'000 rifugiati nei paesi limitrofi
ci dicono ancora poco, al di là della loro ampiezza, sull’orrore di questa
guerra contro la popolazione civile.
3. I media
internazionali mettono l’accento sullo “scontro militare”. Distorcono
grossolanamente la realtà mettendo sullo stesso piano una potenza armata – che
usa tank, elicotteri, aerei, milizie criminali (chabiha) – e gruppi locali male
armati, sorti dalla rivolta popolare. Glissano anche e soprattutto sulla
permanenza della mobilitazione civile, senza la quale questi gruppi legati, in
forme diverse, all’Esercito siriano libero (ESL) non potrebbero agire, né
esistere in una regione.
Questo
“attivismo civile” trova la sua espressione: nell’organizzazione delle
manifestazioni del venerdì (che sono nella maggior parte dei casi funerali); nelle azioni di resistenza nelle
università; nell’aiuto alimentare e all’alloggio agli sfollati interni; nella
stampa di volantini e nella diffusione d’informazioni sul web; nell’appoggio,
nonostante la limitatezza delle risorse, alle cliniche clandestine; nella
ricerca di medicamenti in seguito alla loro scomparsa,che colpisce decine di
migliaia di persone che soffrono di malattie croniche.
La
repressione non ha fatto che intensificarsi. Costringe il popolo insorto a
difendersi militarmente. Da ciò è emerso l’Esercito siriano libero (ESL), i cui
gruppi, nella loro grande maggioranza, sono sorti dai vari Comitati di
resistenza locali che hanno ricevuto l’aiuto di soldati disertori dell’Esercito
ufficiale. In seguito, una parte degli “osservatori” – riprendendo il discorso
del regime Assad – ha definito alcuni gruppi dell’ESL come “forze islamiste”.
Che queste esistano, non vi è alcun dubbio. Che siano ancora molto marginali è
pure un dato di fatto. Inoltre, il nome che un “battaglione” può darsi non è
estraneo alla storia e alla cultura di un paese, dunque non equivale a
un’adesione “islamista”. Tutta la storia delle resistenze armate, in diversi
continenti, presenta lo stesso processo.
4. Dopo
mesi di mobilitazione pacifica, l’emergere di una resistenza armata, necessaria
alla protezione dei civili, ha moltiplicato la produzione di “analisi” relativa
agli “interventi esterni”. Quando un paese come la Siria e un regime come
quello del clan Assad sono invischiati in tali voci – in una simile regione – è
evidente che ex alleati tentano di riorganizzare la loro influenza (dagli Stati
Uniti alla Francia, passando dall’Arabia saudita) e altre rafforzano il loro
sostegno alla dittatura per difendere i propri interessi e non quelli del
popolo siriano.
Un dato è
chiaro: gli unici interventi stranieri diretti sul terreno sono: 1° quello del
potere teocratico dell’Iran – quello che il generale Mohammad Ali Jafari ha
appena riconosciuto – con uno spiegamento di forze specializzate nello
schiacciamento di sollevazioni popolari; questo con la complicità del governo
di Maliki in Iraq (Guardian, 16 settembre 2012); 2° il potere del despota
Putin, senza il quale elicotteri e MIG non potrebbero infliggere alla popolazione
bombardamenti così mortiferi (con la stessa tattica usata in Cecenia).
Per il
resto, la formula di Rony Brauman, oppositore all’intervento in Libia e
animatore della Fondazione Medici senza frontiere, riassume bene la posizione
dei paesi occidentali: “sia a Parigi che
a Londra (per non parlare di Washington che ha già fornito la sua
posizione) si benedice il veto sino-russo – pur maledicendolo pubblicamente al
Consiglio di sicurezza - che permette di evitare di doversi confrontare con
questa situazione regionale, definita “incontrollabile” (Politis, 13 settembre
2012). Effettivamente, non è stato fatto niente perché i gruppi dell’ESL
possano affrontare elicotteri e aerei.
La Turchia
ha cambiato sponda. Essa aiuta, moderatamente, settori della resistenza e,
d’altro canto, ha appena chiuso le proprie frontiere. Gli “antimperialisti” che
denunciano questo intervento turco – e si allineano, di fatto, ad Assad –
tacciono sul fatto che è la stessa fondazione turca (l’IHH) che sosteneva la
flottiglia contro il blocco israeliano di Gaza nel 2010 a essere, oggi, la più
attiva al fianco dei siriani!
Poteri
reazionari – come quello dell’Arabia saudita, che ha aiutato a schiacciare il
sollevamento in Bahrein e nel Qatar – finanziano alcune fazioni per
controbilanciare l’influenza iraniana. Un aiuto ridotto che veicola il
settarismo confessionale. Quest’ultimo è denunciato dai Comitati locali e dai
rappresentanti più autorevoli dell’ESL.
Condannano, d’altronde, le estorsioni che possono commettere, in questo
scontro così sproporzionato, “gruppi di
combattenti” e raccomandano uno stretto codice di condotta.
Di fronte a questi
interventi, il popolo insorto di Siria si trova solo, non potendo contare, essenzialmente, che sul proprio coraggio,
su un migliore coordinamento delle proprie forze, su un collegamento più
effettivo tra la resistenza civile e militare (il “comando dell’ASL” si è
spostato in Siria, il 23 settembre), così come su una rappresentanza politica
strettamente legata alla resistenza interna.
E
questo con l’obiettivo di costruire una Siria libera, democratica, laica e
fondata sulla giustizia sociale, che riconosca il diritto
all’autodeterminazione del popolo curdo e il rispetto delle minoranze.
Quest’obiettivo passa attraverso il rovesciamento del regime Assad. Un vasto
movimento internazionale di sostegno e di solidarietà con la rivoluzione
popolare siriana è più che mai necessario.